(24 FEBBRAIO 1957)
Tre quesiti religiosi e morali e riguardanti l’analgesia
1 - Il IX Congresso nazionale della “Società italiana di Anestesiologia”, tenutosi a Roma dal 15 al 17 ottobre 1956, Ci ha posto, per mezzo del presidente del Comitato organizzatore, professor Piero Mazzoni, tre quesiti, che si riferiscono alle correlazioni religiose morali dell’analgesia rispetto alla legge naturale, e soprattutto rispetto alla dottrina cristiana contenuta nel Vangelo è proposta dalla Chiesa.
2 - Tali quesiti, di indiscutibile interesse, suscitano negli uomini d’oggi alcune reazioni intellettuali ed affettive; tra i cristiani in particolar modo si manifestano al riguardo tendenze assai diverse. Gli uni approvano senza riserve la pratica dell’analgesia; altri però tenderebbero a rigettarla senza alcuna distinzione, perché sarebbe in contrasto con l’ideale dell’eroismo cristiano; altri infine, senza voler nulla sacrificare a questi ideale, sono propensi ad adottare una posizione di compromesso. Perciò Ci si domanda di esprimere il Nostro pensiero sui seguenti punti:
3 - 1) Esiste un obbligo morale generale di rifiutare l’analgesia e di accettare il dolore fisico per spirito di fede?
4 - 2) La privazione della coscienza e dell’uso delle facoltà superiori, provocata dai narcotici, è compatibile con lo spirito del Vangelo?
5 - 3) È lecito l’uso dei narcotici per morenti o malati in pericolo di morte, supposto che esista per questo un indicazione clinica? Possono venire usati anche se l’attenuazione del dolore probabilmente si accompagna con l’accorciamento della vita?
Natura, origine e sviluppo dell’anestesia
6 - L’avvento della chirurgia moderna fu contrassegnato sul mezzo del secolo scorso da due fatti decisivi: l’introduzione dell’antisepsi per opera di Lister, dopo la prova data da Pasteur della parte che hanno i germi nel sopravvenire delle infezioni, e la scoperta di un metodo efficace di anestesia. Prima che Orazio Wells pensasse a utilizzare il protossido di azoto per addormentare i pazienti, i chirurghi erano costretti ad un lavoro rapido, sommario su di un uomo che si batteva in preda ad atroci sofferenze. La pratica dell’anestesia generale doveva sconvolgere questo stato di cose e permetteva interventi lunghi, delicati, e talvolta di mirabile audacia; essa assicurava infatti sia all’operatore sia al paziente le condizioni fondamentali di calma, di tranquillità e il “silenzio muscolare”, indispensabili alla precisione ed alla sicurezza di ogni intervento chirurgico. Ma essa imponeva in pari tempo una attenta sorveglianza sulle attività fisiologiche essenziali dell’organismo. L’anestetico, infatti, invade le cellule e diminuisce il loro metabolismo, sopprime i riflessi difensivi e rallenta la vita del soggetto, già più o meno gravemente compromessa dalla malattia e dal trauma operatorio. Interamente assorbito dal suo lavoro, il chirurgo doveva inoltre tener conto ad ogni istante delle condizioni generali del paziente: seria responsabilità soprattutto in caso di operazioni particolarmente gravi. Assistiamo perciò da alcuni anni allo sviluppo di una nuova specializzazione medica, quella di anestesista, destinata ad assumere una funzione sempre più importante nell’organizzazione ospedaliera moderna.
Compito dell’anestesista
7 - Compito sovente nascosto, quasi sconosciuto dal gran pubblico, meno appariscente di quello del chirurgo, ma anch’esso essenziale. Tra le sue mani, infatti, l’ammalato affida la propria vita, affinché egli lo aiuti a trascorrere con la maggiore sicurezza possibile il momento penoso dell’intervento chirurgico. L’anestesista deve anzitutto preparare paziente, dal punto di vista medico e da quello psicologico. Egli si informa accuratamente delle peculiarità dei singoli casi, al fine di prevedere le eventuali difficoltà, che potrebbero causare la debolezza di questo o quell’organo; ispira fiducia nel malato, ne sollecita la collaborazione, gli dà un medicamento destinato a calmarlo, ed a preparare l’organismo. A lui spetta, secondo la natura e la durata dell’operazione, scegliere l’anestetico più adatto e il mezzo per somministrarlo. Ma a lui soprattutto, durante l’intervento, incombe la stretta sorveglianza dello stato del paziente; ne sta, per così dire, a spiare i minimi sintomi, per conoscere con esattezza il grado raggiunto dall’anestesia e seguire le reazioni nervose, il ritmo della respirazione e la pressione sanguigna, per prevenire ogni possibile complicazione, spasmi laringei, convulsioni, disturbi cardiaci o respiratori.
8 - Quando termina l’operazione, incomincia la parte più delicata del suo lavoro: aiutare il paziente a riprendere i sensi, evitare gli incidenti, quali l’ostruzione delle vie respiratorie e le manifestazioni di choc, somministrare liquidi fisiologici. L’anestesista deve, dunque, unire alla perfetta conoscenza delle tecniche della sua arte grandi doti di simpatia, di comprensione, di dedizione, non solo allo scopo di favorire tutte le disposizioni psicologiche utili alle buone condizioni della malato, ma anche per un sentimento di vera e profonda carità umana e cristiana.
Varietà e progressi degli anestetici
9 - Per adempiere al suo compito, egli dispone oggi di una gamma assai ricca di prodotti, alcuni dei quali, da lungo tempo conosciuti, hanno subito con felice successo il collaudo dell’esperienza, mentre altri, frutto di recenti indagini, danno il loro particolare contributo alla soluzione di questo arduo problema: sopprimere il dolore senza arrecare danno all’organismo. Il protossido di azoto, di cui Orazio Wells non riuscì a far riconoscere il merito nell’esperienza del 1845 all’Ospedale di Boston, conserva tuttora un posto onorevole tra gli agenti correntemente in uso nell’anestesia generale. Con l’etere, già utilizzato da Crawford Long nel 1842, Tommaso Morton faceva esperimenti nel 1846, nel medesimo ospedale, ma con miglior successo del suo collega Wells. Due anni dopo, il chirurgo scozzese Giacomo Simpson provava l’efficacia del cloroformio; ma spetterà al londinese Giovanni Snow il maggior merito nel propagarne l’uso. Trascorso il periodo iniziale di entusiasmo, apparvero chiaramente i difetti di questi tre primi anestetici; ma bisognò attendere la fine del secolo perché apparisse un nuovo prodotto, il cloruro di etile, d’altronde insufficiente quando si vuole una narcosi prolungata. Nel 1924, Luckhardt e Carter scoprivano l’etilene, il primo gas anestetico risultato di una sistematica ricerca di laboratorio, e, cinque anni dopo, entrava nell’uso il ciclopropano, dovuti agli studi di Henderson, Lucas e Brown: la sua azione rapida e profonda esige in chi lo somministra una conoscenza perfetta del metodo a circuito chiuso.
10 - Se l’anestesia per inalazione gode di un solido primato, deve subire da un quarto di secolo la concorrenza crescente della narcosi intravenosa. Diversi tentativi precedenti con l’idrato di cloralio, la morfina, l’etere, l’alcool etilico, hanno dato risultati poco incoraggianti, e talora perfino disastrosi. Ma a partire dal 1925, i composti barbiturici entrano nella sperimentazione clinica e nettamente si affermano, dopo che l’evipan ha dimostrato gli incontestabili vantaggi di questo tipo di anestetici. Con essi, si evitano gli inconvenienti dei metodi per via respiratoria, l’impressione sgradevole di soffocamento, i pericoli del periodo di induzione, nausea al risveglio e le lesioni organiche.
11 - Il pentotal sodico, introdotto nel 1934 da Lundy, ha assicurato il successo definitivo della più larga diffusione di questo modo di anestesia. Ormai i barbiturici verranno usati, tanto da soli per interventi di breve durata, quanto in “anestesia combinata” con l’etere e il ciclopropano, dei quali abbreviano il periodo di induzione permettendo di ridurne la dose e gli inconvenienti; talora si usano come agente principale ed i loro difetti farmacologici vengono compensati con l’uso del protossido di azoto e dell’ossigeno.
La chirurgia cardiaca
12 - La chirurgia cardiaca, che da alcuni anni registra progressi spettacolari, pone all’anestesista problemi particolarmente ardui. Essa suppone, infatti, come condizione generale, la possibilità di interrompere la circolazione del sangue durante un tempo più o meno lungo. Inoltre, siccome essa riguarda un organo estremamente sensibile, e la cui integrità funzionale è spesso compromessa seriamente, l’anestesista deve evitare tutto ciò che potrebbe appesantire il lavoro del cuore. In caso di stenosi mitralica, per esempio, egli dovrà prevenire le reazioni psichiche e neurovegetative del soggetto con una previa medicazione sedativa. Dovrà evitare la tachicardia, per mezzo di una preanestesia profonda con debole blocco parasimpatico: al momento della commissurotomia, egli dovrà con abbondante ossigenazione ridurre il pericolo di anossia e sottoporre a stretta sorveglianza il polso e le correnti di azione cardiaca.
13 - Ma, per avere buon esito, altri interventi richiedono la possibilità per il chirurgo di lavorare su di un cuore esangue ed interrompere la circolazione ben oltre i tre minuti che, normalmente, contrassegno l’apparizione di lesioni irreversibili del cervello e delle fibre cardiache. Al fine di porre rimedio a uno dei difetti congeniti più frequenti, la persistenza del dotto di Botallo, dal 1948 venne in uso la tecnica chirurgica detta “a cielo coperto”, che presentava i rischi evidenti di ogni manovra fatta alla cieca. Ora due nuovi metodi, l’ipotermia e l’impiego del cuore artificiale, permettono di operare a visione diretta, aprendo così in questo campo splendide prospettive. Si è constatato, infatti, che l’ipotermia si accompagna con una diminuzione del consumo di ossigeno e della produzione di anidride carbonica che è proporzionale all’abbassamento della temperatura del corpo. In pratica, non si dovrà scendere al di sotto dei 25 gradi, per non alterare la contrattilità del muscolo cardiaco, e soprattutto, per non accrescere l’eccitabilità della fibra miocardica e il pericolo di determinare una fibrillazione ventricolare difficilmente reversibile. Il metodo di ipotermia permette di provocare un arresto della circolazione, che dura dagli otto ai dieci minuti senza distruggere le cellule nervose del cervello. Questa durata si può ancora prolungare con l’uso di macchine cardio-polmonari, che prelevano il sangue venoso, lo puliscono, gli apportano l’ossigeno e nuovamente lo immettono nell’organismo. Il funzionamento di questi apparecchi esige da parte degli operatori un accurato addestramento e viene accompagnato da molteplici e minuziosi controlli. All’anestesista spetta allora un compito più gravoso, più complesso, la cui perfetta esecuzione è condizione indispensabile del felice esito. Ma i risultati già acquisiti permettono di sperare per il futuro un largo impiego di questi nuovi metodi.
14 - È cosa normale che, di fronte a così varie risorse offerte dalla medicina moderna per evitare il dolore, e il desiderio così naturale di trarne tutti i vantaggi possibili, sorgano quesiti di coscienza. Ce ne avete proposti alcuni, di particolare interesse per voi. Prima di dare ad essi risposta, vorremmo brevemente osservare che altri problemi morali esigono l’attenzione dell’anestesista; soprattutto quello della sua responsabilità circa la vita e la salute della malato; giacché queste dipendono talvolta da lui non meno che dal chirurgo. A tale riguardo, abbiamo già fatto notare più volte, soprattutto nel discorso del 30 settembre 1954 all’ottava Assemblea dell’Associazione medica mondiale, che l’uomo non può essere per il medico un semplice oggetto di esperienze, su cui sperimentare i nuovi metodi e le nuove pratiche della medicina.
15 - Veniamo ora all’esame dei quesiti proposti.
I - CIRCA L’OBBLIGO MORALE GENERALE DI SOPPORTARE IL DOLORE FISICO
16 - Voi chiedevate, dunque, in primo luogo se vi sia un obbligo morale generale di sopportare dolore fisico. Per rispondere con maggiore esattezza vostro quesito, ne distingueremo diversi aspetti. È evidente anzitutto, che in alcuni casi l’accettazione del dolore fisico comporta un obbligo grave. Così ogni volta che l’uomo è posto nell’alternativa ineluttabile di tollerare una sofferenza o trasgredire, con l’azione o per omissione, un dovere morale, egli è tenuto in coscienza ad accettare la sofferenza. I “martiri” non potevano evitare le torture nella morte, senza rinnegare la loro fede o senza sfuggire all’obbligo grave di confessarla in un determinato momento. Ma non è necessario risalire fino ai “martiri”; si hanno oggi esempi magnifici di cristiani che per settimane, per mesi, per anni interi sopportano il dolore e la violenza fisica, per restare fedeli a Dio e alla loro coscienza.
L’accettazione libera e la ricerca del dolore
17 – Il vostro quesito non si riferisce tuttavia siffatta situazione; esso concerne piuttosto l’accettazione libera e la ricerca del dolore a motivo del senso che ha e della finalità che gli è propria. Per citarne subito un esempio concreto, ricordiamo l’allocuzione da Noi pronunciata l’8 gennaio 1956 a proposito dei nuovi metodi di parto indolore. Si chiedeva allora se, a motivo del testo della Sacra Scrittura: “Tu partorirai nel dolore” (Genesi 3, 16), la madre era obbligata ad accettare tutte le sofferenze e a rifiutare l’analgesia con mezzi naturali o artificiali. Noi abbiamo risposto che non esisteva alcun obbligo del genere. L’uomo conserva, anche dopo la caduta, il diritto di dominare le forze della natura, di utilizzarle al proprio servizio, di mettere dunque a profitto tutte le risorse che essa gli offre per evitare o sopprimere il dolore fisico. Abbiamo però aggiunto che, per il cristiano, questo non è un fatto puramente negativo, ma è associato al contrario a elevati valori religiosi e morali, e può pertanto essere voluto e cercato, anche se non esiste obbligo morale alcuno in questo o quel caso particolare. Aggiungevamo poi: “La vita e la passione del Signore, i dolori che tanti uomini grandi hanno sopportato e persino cercato, in virtù dei quali essi si sono ingigantiti e arrivati fino alle cime dell’eroismo cristiano, gli esempi quotidiani di accettazione volonterosa della croce, che Ci sono presenti, tutto ciò rivela il significato della sofferenza, dell’accettazione paziente del dolore nell’odierna economia della salvezza durante il tempo di questa vita terrena”.
Circa il dovere di rinuncia e di purificazione interiore
18 - Inoltre il cristiano è tenuto a mortificare la propria carne e ad attendere alla purificazione interiore, perché non è possibile, a lungo andare, evitare il peccato e adempiere fedelmente tutti i propri doveri, se si rifiuta questo sforzo di purificazione e di mortificazione. Nella misura in cui è impossibile acquistare il dominio di sé e delle proprie sregolate tendenze senza l’aiuto del dolore fisico, questo diviene una necessità e bisogna accettarlo; ma in quanto non è richiesto per tal fine, non si può affermare che esiste al riguardo un obbligo stretto. Il cristiano non è dunque mai obbligato a volerlo per se stesso; egli lo considera come un mezzo più o meno adatto, secondo le circostanze, al fine che persegue.
Circa l’invito ad una più alta perfezione
19 - Invece di considerare il punto di vista dello stretto obbligo, si può riguardare invece quello delle esigenze che la fede cristiana pone, l’invito ad una perfezione più grande, non imposta sotto pena di peccato. È tenuto il cristiano ad accettare il dolore fisico per non mettersi in contraddizione con l’ideale propostogli dalla fede? Il rifiutarlo non implica mancanza di spirito di fede? Se è incontestabile che il cristiano provi il desiderio di accettare ed anche di cercare il dolore fisico per partecipare alla passione di Cristo, rinunciare al mondo e dalle soddisfazioni sensibili e mortificare la propria carne, bisogna tuttavia interpretare rettamente questa propensione. Coloro che la manifestano esteriormente non possiedono per ciò necessariamente il vero eroismo cristiano; ma sarebbe altresì erroneo affermare che siano sprovvisti coloro che non la manifestano. Tale eroismo può infatti manifestarsi in molti altri modi. Quando un cristiano, giorno per giorno, da mattina a sera, compie tutti i doveri che gli impongono il proprio stato, la professione, i comandamenti di Dio e degli uomini, quando prega con raccoglimento, lavora con tutte le forze, resiste alle passioni cattive, manifesta al prossimo la carità e la dedizione dovutegli, sopporta virilmente, senza mormorare, tutto ciò che Dio gli manda; la sua vita è sempre sotto il segno della Croce di Cristo, sia presente o no la sofferenza fisica, la sopporti o la eviti con mezzi leciti. Anche se si considerano solo gli obblighi che incombono sotto pena di peccato, un uomo non può vivere e compiere da cristiano il suo lavoro quotidiano, senza essere costantemente pronto al sacrificio e, per così dire, senza sacrificarsi continuamente. L’accettazione del dolore fisico non è che un modo, tra molti altri, di significare ciò che è l’essenziale: la volontà di amare Dio e di servirlo in tutte le cose. Nella perfezione di questa disposizione della volontà consiste anzi tutto il valore della vita cristiana ed il suo eroismo.
Motivi che permettono di evitare il dolore fisico
20 - Quali motivi permettono, nei casi di cui si tratta, di evitare il dolore fisico senza entrare in conflitto con un obbligo grave con l’ideale della vita cristiana? Se ne potrebbe elencare un gran numero; ma, nonostante la loro diversità, alla fine si riducono a questo: a lungo andare il dolore impedisce il raggiungimento di beni e di interessi superiori. Può darsi che esso sia preferibile per tale determinata persona e in tale situazione concreta; ma generalmente i danni che esso produce costringono gli uomini a difendersene; senza dubbio non si riuscirà mai a farlo scomparire completamente dall’umanità; ma si possono contenere in più ristretti limiti i suoi effetti nocivi. Come si domina una forza naturale per trarne vantaggio, così il cristiano utilizza la sofferenza come uno stimolante nel suo sforzo di ascensione spirituale e di purificazione, per compiere meglio i suoi doveri e meglio rispondere all’appello ad una perfezione più alta; a ciascuno l’adottare le soluzioni convenienti al suo caso personale, secondo le dette attitudini o disposizioni, nella misura in cui -senza impedire altri interessi ed altri beni superiori- esse costituiscono un mezzo di progresso nella vita interiore, di più perfetta purificazione, di più fedele adempimento del dovere, di più grande prontezza a seguire gli impulsi divini. Per assicurarsi che tale sia il caso, si consulteranno le regole della prudenza cristiana e gli avvisi di uno sperimentato direttore di coscienza.
Conclusioni e risposte al primo quesito
21 - Potete facilmente trarre da queste risposte orientamenti utili per la vostra azione pratica.
22 - 1) I principi fondamentali dell’anestesiologia, come scienza e come arte, e il fine che essa persegue, non sollevano obiezioni. Essa combatte forze che, per molti aspetti, producono effetti nocivi ed ostacolano un bene più grande.
23 - 2) Il medico, che ne accetta i metodi, non contraddice né all’ordine morale naturale, né all’ideale specificamente cristiano. Egli cerca, secondo l’ordine del Creatore (cf Genesi 1, 28), di sottomettere il dolore al potere dell’uomo, e per questo si avvale delle acquisizioni della scienza e della tecnica, secondo i principi da Noi enunciati e che guideranno le sue decisioni nei casi particolari.
24 - 3) Il paziente desideroso di evitare o di calmare il dolore può, senza inquietudine di coscienza, avvalersi dei ritrovati della scienza che, in se stessi, non sono immorali. Particolari circostanze possono imporre un’altra linea di condotta; ma il dovere di rinuncia e di purificazione interiore, che incombe ai cristiani, non è un ostacolo all’impiego dell’anestesia, perché si può adempierlo in altro modo. La stessa regola si applica altresì alle esigenze supererogatorie dell’ideale cristiano.
II - CIRCA LA NARCOSI E LA PRIVAZIONE TOTALE O PARZIALE DELLA COSCIENZA DI SÉ.
25 - Il vostro secondo quesito concerneva la narcosi e la privazione totale o parziale della coscienza di sè in rapporto alla morale cristiana. Voi l’enunciavate in questo modo: “L’abolizione completa della sensibilità in tutte le sue forme (anestesia generale), o la diminuzione più o meno grande della sensibilità dolorosa (ipo ed analgesia), si accompagnano sempre rispettivamente alla scomparsa o alla diminuzione della coscienza e delle facoltà intellettuali più elevate (memoria, processi associativi, facoltà critiche ecc.); questi fenomeni che rientrano nel quadro abituale della narcosi chirurgica e dell’analgesia pre e post-operatoria sono compatibili con lo spirito del Vangelo?”.
26 - Il Vangelo narra che immediatamente prima della crocifissione venne offerto a Nostro Signore vino misto a fiele, senza dubbio per attenuare le sue sofferenze. Dopo averlo assaggiato, egli non volle berlo (cf Matteo 27, 34), perché voleva soffrire in piena coscienza, compiendo così che aveva detto a Pietro al momento dell’arresto: “Non berrò io il calice che il Padre mio mi ha preparato?” (Giovanni 18, 11). Calice talmente amaro che Gesù aveva supplicato nell’angoscia della sua anima: “Padre, allontana da me questo calice! Ma la tua volontà si faccia e non la mia!” (cf Matteo 26, 38-39; Luca 22, 42-44). L’atteggiamento di Cristo verso la sua passione, come la rivelano questa narrazione e altri passi del Vangelo (cf Luca 12, 50), permette al cristiano di accettare la narcosi totale o parziale?
27 - Poiché voi considerate il quesito sotto due aspetti, esamineremo successivamente la soppressione del dolore, e la diminuzione o la soppressione totale della coscienza e dell’uso delle facoltà superiori.
Scomparsa del dolore
28 - La scomparsa del dolore dipende, come dite, sia dalla soppressione della sensibilità generale (anestesia generale), sia da una diminuzione più o meno accentuata della capacità di soffrire (ipo ed analgesia). Abbiamo già detto l’essenziale sull’aspetto morale della soppressione del dolore; per quanto riguarda il giudizio religioso e morale poco importa che venga prodotta con la narcosi o con altri mezzi: nei limiti indicati non solleva obiezioni e rimane compatibile con lo spirito del Vangelo. D’altra parte non bisogna negare né avere in minor estimazione il fatto che l’accettazione volontaria (obbligatoria o no) del dolore fisico, anche in occasione di interventi chirurgici, può manifestare un eroismo elevato e spesso testimonia in realtà un’imitazione eroica della passione di Cristo. Tuttavia ciò non vuol dire che sia un elemento indispensabile; specialmente negli interventi importanti, non è raro che l’anestesia si imponga per altri motivi ed il chirurgo od il paziente non potrebbero farne a meno senza mancare alla prudenza cristiana. Lo stesso si dica dell’analgesia pre e post operatoria.
Soppressione o diminuzione della coscienza e dell’uso delle facoltà superiori
29 - Voi parlate in seguito della diminuzione o della soppressione della coscienza, dell’uso delle facoltà superiori, come di fenomeni che accompagnano la perdita della sensibilità. Di solito, ciò che volete ottenere è appunto la perdita di sensibilità; ma spesso è impossibile provocarla senza produrre nello stesso tempo l’incoscienza totale o parziale. Fuori della sfera della chirurgia, siffatta relazione è sovente inversa, non solo in medicina ma anche in psicologia e nelle inchieste criminali. Si intende allora determinare una diminuzione della coscienza e perciò delle facoltà superiori, in modo da paralizzare i meccanismi psichici di controllo, che l’uomo adopera costantemente per dominarsi e per regolarsi; allora egli si abbandona senza resistenza al gioco delle associazioni di idee, dei sentimenti ed impulsi volitivi. I pericoli di una tale situazione sono evidenti; può anche accadere che si liberino così impulsi istintivi immorali. Queste manifestazioni del secondo stadio della narcosi sono ben conosciute, e oggi ci si sforza di impedirle mediante la previa somministrazione di narcotici. La sospensione dei dispositivi di controllo diviene particolarmente dannosa, quando provoca la rivelazione di segreti della vita privata, personale o familiare, e della vita sociale. Non è sufficiente che il chirurgo e tutti suoi aiutanti siano tenuti non solo al segreto naturale (secretum naturale), ma anche a segreto professionale (secretum officiale, secretum commissum) e circa tutto ciò che avviene nella sala operatoria. Vi sono segreti, che non si devono rivelare nessuno, nemmeno, come si esprime una formula tecnica: uni viro prudenti et silentii tenaci. Lo abbiamo già messo in rilievo nella Nostra locuzione del 15 aprile 1953 sulla la psicologia clinica e la psicanalisi. Perciò non può che approvarsi l’uso dei narcotici nella medicazione pre operatoria, per evitare questi inconvenienti.
30 - Notiamo anzitutto che nel sonno la natura stessa interrompe più o meno completamente l’attività intellettuale. Se, in un sonno non troppo profondo, l’uso della ragione (usus rationis) non è completamente abolito e l’individuo può ancora fruire delle sue facoltà superiori -lo aveva già notato San Tommaso d’Aquino- il sonno esclude tuttavia il dominium rationis, il potere in virtù del quale la ragione dirige liberamente l’attività umana. Non ne segue, se l’uomo si abbandona al sonno, che egli agisca contro l’ordine morale privandosi della coscienza e del dominio di sé con l’uso delle facoltà superiori. Ma è parimenti certo che possono esservi casi (e se ne presentano spesso), in cui l’uomo non può abbandonarsi al sonno, ma deve restare in possesso delle facoltà superiori per compiere un dovere morale che gli incombe. Talora, senza esservi tenuto per stretto dovere, l’uomo rinuncia al sonno per rendere servizi non obbligatori o per imporsi una rinuncia in vista di interessi morali superiori. La soppressione della coscienza per mezzo del sonno naturale non offre dunque in sé alcuna difficoltà: tuttavia è illecito accettarla quando impedisce l’adempimento di un dovere morale. La rinuncia al sonno naturale può essere inoltre nell’ordine morale espressione ed attuazione di una tendenza non obbligatoria verso la perfezione morale.
Circa l’ipnosi
31 - Ma la coscienza di sé può essere alterata anche con mezzi artificiali. Che ciò si ottenga con la somministrazione di narcotici o come l’ipnosi (che può dirsi un analgesico psichico), non importa alcuna differenza essenziale dal punto di vista morale. L’ipnosi tuttavia, anche considerata unicamente in se stessa, è sottoposta a determinate leggi. Ci sia permesso questo proposito richiamare la breve allusione all’uso medico dell’ipnosi da Noi fatta all’inizio dell’allocuzione dell’8 gennaio 1956 sul parto naturale indolore.
32 - Nella questione che ora Ci interessa, si tratta di un’ipnosi praticata dal medico, per un fine clinico, con l’osservanza delle precauzioni che la scienza e l’etica della medicina richiedono sia dal medico che la usa, sia dal paziente che vi si sottopone. A questo determinato uso dell’ipnosi si applica il giudizio morale che ora formuleremo sulla soppressione della coscienza.
33 - Ma Noi non vogliamo che si estenda puramente e semplicemente all’ipnosi in generale ciò che diciamo dell’ipnosi a servizio del medico. Essa, infatti, in quanto oggetto di ricerca scientifica, non può essere studiata da uno qualsiasi, ma soltanto da uno studioso serio, nei limiti morali validi per ogni attività scientifica. Non sarebbe il caso di un qualsiasi gruppo di laici o di ecclesiastici, che se ne occupassero come di un argomento interessante, a titolo di pura esperienza, o anzi per semplice passatempo.
Circa la liceità della soppressione e della diminuzione della coscienza
34 - Per apprezzare la liceità della soppressione e della diminuzione della coscienza, bisogna considerare che l’atto razionale e liberamente ordinato ad un fine costituisce la caratteristica dell’essere umano. L’individuo non potrà, per esempio, compiere il suo lavoro quotidiano, se rimane continuamente sommerso in uno stato crepuscolare. Inoltre, egli deve conformarsi in tutte le sue azioni alle esigenze dell’ordine morale. Poiché è certo che i dinamismi naturali e gli istinti ciechi sono impotenti ad assicurare per sé stessi una attività ordinata, l’uso della ragione e delle facoltà superiori si dimostra indispensabile sia per percepire le norme precise dell’obbligo, sia per applicarle ai casi particolari. Di qui deriva l’obbligo morale di non privarsi di questa coscienza di sé senza vera necessità.
35 - Ne segue che non si può sconvolgere la coscienza o sopprimerla al solo scopo di procurarsi sensazioni piacevoli, abbandonandosi all’ubriachezza e assorbendo veleni destinati a procurare questo stato, anche se si ricerca soltanto una certa euforia. Oltre una determinata dose, questi veleni producono uno sconvolgimento più o meno accentuato della coscienza ed anche il suo completo ottenebramento. I fatti mostrano che l’abuso degli stupefacenti conduce all’oblio totale delle più fondamentali esigenze della vita personale e familiare. Non senza ragione, dunque, i pubblici poteri intervengono per regolare la vendita e l’uso di queste droghe, al fine di evitare alla società gravi danni fisici e morali.
36 - Si trova la chirurgia nella necessità pratica di provocare una diminuzione o anche una soppressione totale della coscienza mediante la narcosi? Dal punto di vista tecnico, la risposta a tale quesito è di vostra competenza. Dal punto di vista morale, i principi qui sopra formulati in risposta al vostro primo quesito si applicano nella sostanza così alla narcosi, come alla soppressione del dolore. Infatti ciò che in primo luogo conta per il chirurgo è la soppressione della sensazione dolorosa, non quella della coscienza. Se questa rimane desta, le sensazioni dolorose e violente provocano facilmente reazioni spesso involontarie e riflesse, capaci di produrre spiacevoli complicazioni e di giungere perfino al collasso cardiaco mortale. Preservare l’equilibrio psichico ed organico, evitare il suo violento perturbamento, costituisce per il chirurgo e per il paziente un importante obiettivo, che la narcosi soltanto permette di ottenere. È appena necessario far notare che, se ci fosse da aspettarsi interventi di altri in modo immorale mentre il malato è incosciente, la narcosi provocherebbe difficoltà gravi, che imporrebbero misure adeguate.
Gli insegnamenti del Vangelo
37 - A queste regole di morale naturale raggiunge il Vangelo determinazioni ed esigenze supplementari? Se Gesù Cristo sul Calvario ha rifiutato il vino mescolato con fiele, perché voleva in piena coscienza bere fino alla feccia il Calice che il Padre gli presentava, ne segue che l’uomo deve accettare e bere il calice di dolore ogni volta che Dio lo desidera. Ma non si deve credere che Dio lo desideri ogni volta che si presenta una sofferenza da sopportare, quali ne siano le cause e le circostanze. Le parole del Vangelo ed il comportamento di Gesù non indicano che Dio voglia ciò da ogni uomo e ad ogni momento, e la Chiesa non ne ha dato per nulla questa interpretazione. Ma i fatti e i gesti del nostro Signore conservano un significato profondo per tutti gli uomini. Innumerevoli sono a questo mondo coloro che sono oppressi da sofferenze (malattie, accidenti, guerre, flagelli naturali), di cui essi non possono addolcire l’amarezza. L’esempio di Cristo sul Golgota, il suo rifiuto di lenire i propri dolori, sono per essi una sorgente di consolazione e di forza. D’altronde, il Signore ha ammonito i suoi che tutti li attende questo calice. Gli apostoli, e dopo di loro a migliaia i martiri, ne hanno reso testimonianza e continuano a renderla gloriosamente fino ad oggi. Spesso, tuttavia, l’accettazione della sofferenza senza mitigazione non rappresenta obbligo alcuno e non risponde ad una norma di perfezione. Si può allora evitare il dolore, senza mettersi in alcun modo in contrasto con la dottrina del Vangelo.
Conclusione e risposta al secondo quesito
38 - La conclusione delle precedenti considerazioni può dunque formularsi così: nei limiti indicati e se si osservano le condizioni richieste, la narcosi che importa una diminuzione una soppressione della coscienza è permessa dalla morale ed è compatibile con lo spirito del Vangelo.
III - CIRCA L’IMPEGNO DI ANALGESICI PER I MORIBONDI...
39 - Ci rimane da esaminare il vostro terzo quesito: “L’impiego di analgesici, il cui uso affievolisce sempre la coscienza, è permesso in generale, ed in particolare nel periodo post operatorio, anche presso i moribondi ed i pazienti in pericolo di morte, quando vi è un’indicazione clinica al riguardo? È permesso inoltre in certi casi (persone affette da cancri inoperabili, da malattie inguaribili), in cui l’attenuazione dell’intollerabile dolore probabilmente si effettuerà a spese della durata della vita, che ne viene accorciata?”.
40 - Questo terzo quesito in sostanza non è che una applicazione dei due precedenti al caso speciale dei moribondi e per l’effetto particolare di un abbreviamento della vita.
41 - Che i moribondi abbiano più che altri l’obbligo morale naturale o cristiano di accettare il dolore o di rifiutarne la mitigazione, ciò non proviene né dalla natura delle cose, né dalle fonti della rivelazione. Ma per il fatto che, secondo lo spirito del Vangelo, la sofferenza contribuisce all’espiazione dei peccati personali e all’acquisto di maggiori meriti, coloro, la cui vita è in pericolo, hanno certo un motivo speciale per accettarla, perché, essendo la morte vicina, tale possibilità dell’acquisto di nuovi meriti corre il rischio di finire ben presto. Questo motivo, però, interessa direttamente il malato, non il medico che pratica l’analgesia, supposto che il malato vi dia il consenso o l’abbia espressamente richiesta. Sarebbe evidentemente illecito praticare l’anestesia contro la volontà espressa del morente (quando egli sia sui iuris).
42 - Qui appaiono opportune alcune determinazioni, perché non è raro che questo motivo venga presentato in modo non esatto. Si cerca talora di provare che i malati di moribondi sono obbligati a sopportare i dolori fisici per acquistare più meriti, sull’invito alla perfezione che il Signore dirige a tutti: Estote ergo vos perfecti, sicut et Pater vester coelestis perfectus est (Matteo 5, 48) o sulle parole dell’Apostolo: Haec est voluntas Dei, sanctificatio vestra (1 Tessalonicesi 4,3). Talora si propone un principio di ragione, secondo cui non sarebbe permessa indifferenza alcuna circa il raggiungimento (anche graduale e progressivo) del fine ultimo, verso cui tende l’uomo; ovvero il precetto dell’amore di sé ben ordinato, che imporrebbe di ricercare i beni eterni nella misura in cui le circostanze della vita quotidiana permettono di raggiungerli; o anche il primo e più grande comandamento, quello dell’amore di Dio sopra ogni cosa, il quale non lascerebbe scelta alcuna nell’avvalersi delle occasioni concrete offerte dalla Provvidenza. Ora, l’aumento dell’amore di Dio e dell’abbandono alla sua volontà non proviene dalle sofferenze stesse accettate, ma dall’intenzione volontaria sostenuta dalla grazia; questa intenzione in molti moribondi può rafforzarsi e divenire più viva, se si attenuano le loro sofferenze, perché queste aggravano lo stato di debolezza e di esaurimento fisico, ostacolano lo slancio dell’anima e logorano le forze morali, invece di sostenerle. Al contrario, la soppressione del dolore procura una distensione organica e psichica, facilita la preghiera e rende possibile un più generoso dono di sé. Se vi sono moribondi che accettano la sofferenza, come mezzo di espiazione e sorgente di meriti per progredire nell’amore di Dio e nell’abbandono alla sua volontà, non si imponga ad essi l’anestesia; si aiutino piuttosto a seguire la propria via. Nel caso contrario, non sarebbe opportuno suggerire ai moribondi le considerazioni ascetiche sopraddette, e bisognerà ricordarsi che invece di contribuire all’espiazione e al merito, il dolore può fornire pure l’occasione di nuove colpe.
43 - Aggiungiamo alcune considerazioni circa la soppressione della coscienza di sé nei moribondi, nella misura in cui essa non è motivata dal dolore. Poiché il Signore ha voluto subire la morte in piena coscienza, anche in questo il cristiano desidera imitarlo. Del resto la Chiesa dà ai sacerdoti e ai fedeli un Ordo commendationis animae, una serie di preghiere, che devono aiutare i moribondi a lasciare questa terra e ad entrare nell’eternità. Ma se queste preghiere conservano il loro valore e il loro significato, anche quando si recitano presso un malato incosciente, esse donano normalmente a chi può prendervi parte luce, consolazione e forza. Così la Chiesa lascia capire che non bisogna, senza ragioni gravi, privare il moribondo della coscienza di sé. Quando ciò fa la natura, gli uomini devono accettarlo; ma non lo faranno di propria iniziativa, se non avranno per questo seri motivi. Del resto è questo il voto degli stessi interessati, quando hanno la fede: essi desiderano la presenza dei loro, di un amico, di un sacerdote, per aiutarli a ben morire. Essi vogliono conservare la possibilità di prendere le loro ultime disposizioni, di dire un’ultima preghiera, un’ultima parola a coloro che li assistono. Privarli di ciò ripugna al senso cristiano, ed anche solo umano. L’anestesia usata all’approssimarsi della morte, al solo scopo di evitare al malato una fine cosciente, sarebbe non già una notevole conquista della terapeutica moderna, ma una pratica veramente deplorevole.
44 - Il vostro quesito riguardava piuttosto l’ipotesi di una seria indicazione clinica (per esempio, dolori violenti, stati malsani di depressione e di angoscia). Il morente non può permettere e ancora meno chiedere al medico che gli procuri l’incoscienza, se in tal modo egli si pone nell’impossibilità di soddisfare a gravi obblighi morali, a regolare, per esempio affari importanti, a fare il suo testamento, a confessarsi. Abbiamo già detto che i motivo dell’acquisto di maggiori meriti non basta a rendere in sé illecito l’uso dei narcotici. Per giudicare di questa liceità, bisogna inoltre domandarsi se la narcosi sarà relativamente breve (per la notte o per alcune ore) o prolungata (con o senza interruzione) e considerare se l’uso delle facoltà superiori ritornerà in certi momenti, per qualche ora, e darà al morente la possibilità di fare ciò che il dovere gli impone (per esempio, riconciliarsi con Dio). D’altronde, un medico coscienzioso, anche se non è cristiano, non cederà mai alle pressioni di chi volesse, contro il volere del morente, fargli perdere la sua lucidità, per impedirgli di prendere certe decisioni.
45 - Quando, nonostante gli obblighi che gli incombono, il morente domandi la narcosi per cui esistano motivi seri, un medico cosciente non vi si presterà mai, soprattutto se è cristiano, senza averlo invitato egli stesso, o meglio ancora per mezzo di altri, a compiere prima i suoi doveri. Se il malato si rifiuta ostinatamente e persiste nel chiedere la narcosi, il medico può consentirvi senza rendersi colpevole di collaborazione formale alla colpa commessa. Questa, infatti, non dipende dalla narcosi, ma dalla volontà immorale del paziente; gli si procuri o no l’analgesia, il suo comportamento sarà identico: egli non adempie al suo dovere. Se non è esclusa la possibilità di un pentimento, non se ne ha tuttavia alcuna seria probabilità: e chissà se anzi non perdurerà nel male?
46 - Ma se il morente ha adempiuto a tutti i suoi obblighi e ricevuto gli ultimi sacramenti, se nette indicazioni mediche suggeriscano l’anestesia, se nel fissare le dosi non si sorpassa la quantità per messa, se se ne è accuratamente misurata l’intensità e la durata, e il paziente di consente, nulla allora vi si oppone: l’anestesia è moralmente permessa.
... E per i malati inoperabili o inguaribili
47 - Se l’azione stessa del narcotico accorciasse la durata della vita, bisognerà rinunciarvi? Anzitutto ogni forma di eutanasia diretta, cioè la somministrazione di un narcotico per provocare o affrettare la morte, è illecita, perché allora si ha la pretensione di disporre direttamente della vita. Uno dei principali fondamenti della morale naturale e cristiana è che l’uomo non è signore e proprietario, ma solo usufruttuario del corpo proprio e della propria esistenza. Si pretende un diritto di disposizione diretta ogni qual volta si vuole l’abbreviamento della vita come fine o come mezzo. Nell’ipotesi da voi considerata, si tratta unicamente di evitare al paziente dolori insopportabili, per esempio, nel caso di cancri inoperabili o di malattie inguaribili.
48 - Se tra la narcosi e la abbreviamento della vita non esiste alcun nesso causale diretto, posto per volontà degli interessati o per la natura delle cose (il caso sarebbe, se la soppressione del dolore non potesse essere ottenuta che con l’abbreviamento della vita), e se al contrario la somministrazione dei narcotici cagiona per se stessa due effetti distinti, da un lato l’alleviamento dei dolori, dall’altro l’abbreviamento della vita, è lecita; bisogna ancora vedere se vi è tra i due effetti proporzione ragionevole, e se i vantaggi dell’uno compensano gli inconvenienti dell’altro. Bisogna altresì porsi dapprima la domanda se lo stato attuale della scienza non permetta di ottenere lo stesso risultato con l’uso di altri mezzi, e poi di non oltrepassare, nell’uso del narcotico, i limiti di quello che è praticamente necessario.
Conclusione e risposta al terzo quesito
49 - Riepilogando, voi Ci chiedevate: “La soppressione del dolore e della coscienza per mezzo dei narcotici (quando è richiesta da un’indicazione medica), è permessa dalla religione e dalla morale al medico e al paziente (anche all’avvicinarsi della morte e se si prevede che l’uso dei narcotici abbrevierà la vita)?”. Si dovrà rispondere: “Se non esistono altri mezzi e se, nelle date circostanze, ciò non impedisce l’adempimento di altri doveri religiosi e morali: sì”.
50 - Come abbiamo già spiegato, l’ideale dell’eroismo cristiano non impone, almeno in modo generale, il rifiuto di una narcosi d’altronde giustificata, sia pure all’avvicinarsi della morte; tutto dipende dalle circostanze concrete. La risoluzione più perfetta e più eroica può trovarsi tanto nell’accettazione quanto nel rifiuto.
Esortazione finale
51 - Possiamo sperare che queste considerazioni sull’analgesia, vista sotto l’aspetto morale e religioso, vi aiuteranno nell’adempimento dei vostri doveri professionali con un senso ancor più vivo delle vostre responsabilità. Voi desiderate rimanere integralmente fedeli alle esigenze della vostra fede cristiana e conformarvi ad essa in tutta la vostra attività. Ma ben lungi dal concepire queste esigenze come restrizioni, od ostacoli alla vostra libertà e alla vostra iniziativa, vogliate vedervi piuttosto l’invito ad una vita infinitamente più alta e più bella, che non può conquistarsi senza sforzi e rinunce, ma la cui pienezza e gioia sono già sensibili quaggiù per chi sa entrare in comunione con la persona di Cristo vivente nella sua Chiesa, il quale del suo Spirito la anima, e spande su tutti i membri di essa il suo amore redentore, che solo trionferà definitivamente della sofferenza e della morte.
52 - Che il Signore vi colmi dei suoi doni: Noi ciò in proviamo per voi, per le vostre famiglie ed i vostri collaboratori e, di gran cuore, Vi accordiamo la Nostra paterna apostolica benedizione.
La cigüeña cambia de nido.
Hace 15 años
3 comentarios:
Si, probabilmente lo e
Grazie per questo distacco, è stato molto utile e ha detto un sacco
Ho voluto pubblicare qualcosa di simile sul mio sito e questo mi ha dato un'idea. Cheers..
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